Se seguite la nostra pagina Instagram probabilmente lo saprete già: il 31 Marzo ci è stata offerta la possibilità, dalla casa editrice Garzanti che ringraziamo nuovamente, di incontrare Sara Rattaro,
autrice di Splendi più che puoi.
Prima di incontrare Sara avevamo già avuto l'occasione di leggere il suo libro in anteprima (clicca QUI per la recensione) e, perciò, siamo arrivate in casa editrice già catturate dalla sua storia.
Prima di incontrare Sara avevamo già avuto l'occasione di leggere il suo libro in anteprima (clicca QUI per la recensione) e, perciò, siamo arrivate in casa editrice già catturate dalla sua storia.
L’accoglienza, sia da parte dello staff che da parte della stessa
autrice, è stata molto calorosa. Sara ha un sorriso davvero molto coinvolgente ed è una donna molto alla mano. L'evento si è svolto a una tavola rotonda, il che ci ha permesso di entrare in un clima confidenziale sia con l'autrice che con le altre blogger.
Prima di riportarvi le domande e le risposte circa il libro, vorremmo riportare le parole di Elisabetta, l'editor di Sara e una breve introduzione della stessa autrice.
“Questo, rispetto ai suoi romanzi precedenti, è il libro in cui Sara sa veramente leggere nel cuore di una donna. La donna in questione è una provata, ferita, deve fare tantissima fatica per tornare a splendere, ma Sara parla divinamente della sua rinascita: in questo libro riesce a farci capire cosa succede veramente nella testa della protagonista”.
Elisabetta - editor di Sara Rattaro
Sara: Splendi più che puoi è una storia che secondo me è molto importante
e ha una genesi molto particolare. Ero in giro a presentare Non volare via, era giugno del 2013 e
alla fine di una delle presentazioni una signora mi si è avvicinata e mi ha
detto: “Io ho una storia da raccontare e mi piacerebbe che fosse lei a
raccontarla”. Ero un po’ titubante, perché mi era capitato spesso che alcune
persone mi scrivessero anche vi e-mail chiedendomi di raccontare la loro
storia, e le ho chiesto: “Cosa c’è in questa storia? E lei mi ha risposto: “Io sono stata sequestrata da mio
marito per sei anni”
Io sono tornata a casa e ho
pensato che davvero questa storia dovesse essere raccontata, perché
rappresentava qualcosa di forte. Ero piena di dubbi: affrontare la violenza per
un’autrice donna è doveroso, perché prima o poi ci scontriamo con essa, ma
scontrarsi significa anche non raccontare nulla, perché magari non ci si sente
all’altezza o perché si crede non sia il periodo giusto per farlo. Se si fa, si
deve fare con la maggiore onestà possibile; bisogna essere consapevoli di
affrontare un argomento che tocca molte persone.
Io ho fatto un po’ i conti con
questi sentimenti e mi sono chiesta: è il momento giusto, mi sento pronta sia
come donna che come autrice di affrontare un argomento così forte? Poi, però, è
stato spazzato tutto via dalla storia. Mi ricordo che avevo sentito autori che
dicevano che a un certo punto della carriera arriva la storia che è più forte
di te. Io credo sia questa la storia più forte di me. In qualche modo gli altri
miei romanzi, per come li avete letti, li potevo scrivere solo io. Questa storia,
invece, è una storia che mi ha governata e sono quasi convinta che un altro
autore di fronte a essa avrebbe fatto lo stesso lavoro, la stessa fatica e si
sarebbe scontrato con le stesse difficoltà contro cui mi sono scontrata io.
Quando ho richiamato quella
signora e le ho chiesto “Perché ha scelto me tra tutti gli autori?” lei mi ha
risposto “Mi piace il modo in cui lei raccontata le
storie”; così ci siamo organizzate e quella signora mi ha ospitato una
settimana a casa sua. Abbiamo passato il tempo insieme cucinando, andando a
fare dei giri, intanto lei mi ha raccontato i pezzi della sua storia e mi
ha dato il suo diario.
Tornata a casa, ho lasciato il
diario sul mio comodino per un po’ di tempo, perché avevo bisogno che la storia
esplodesse dentro di me; quando è successo, però, la stesura è durata circa un
mese: è stata una stesura velocissima, è stata una stesura di rabbia, di
sentimenti umani forti, che aveva l’obiettivo fisso di riuscire a raccontare
una storia senza pregiudizi.
Quando si parla di violenza sulle
donne o di femminicidio, si parla sempre senza la vittima: si dà attenzione al
carnefice, ma la vittima cade nell’oblio. Qui, invece, la vittima stessa è
diventata la protagonista e quello che mi piace pensare di questa storia è che
Emma adesso ha la sua vita davanti: che siano cinque, dieci, venti, cento anni,
da adesso in poi la sua vita è nelle sue mani ed è bellissimo il fatto che lei
sia riuscita a uscire da una situazione così difficile.
INTERVISTA
1. Per quanto riguarda il titolo: come mai hai scelto un termine come splendere e non uno come rinascere?
Sara: Splendi più che puoi è una frase che avevo in testa da molto e ho
sempre pensato che sarebbe stato un titolo bellissimo per un romanzo. È una
frase che è stata erroneamente attribuita a Pasolini: lui aveva detto “Ti
insegneranno a non splendere, tu invece splendi”, ma nel riportarla hanno
aggiunto l’eccesso “tu splendi più che puoi”. Credo che lui non l’abbia mai
detta in questo modo. Mi era rimasta impressa, l’ho proposta a Elisabetta ed
era perfetta per questo romanzo. Mi piaceva l’idea dello splendore, perché è
quella cosa che abbiamo tutte noi. Dà l’idea dell’inizio di una nuova vita in
questa donna, ormai padrona di se stessa. È qualcosa che dobbiamo augurare a
noi stesse e ai nostri figli.
2. Per la parte legale, come ti sei comportata?
Sara: Emma era preparatissima, dopo
tutto quello che è successo. Aveva questo diario con tutte le date del processo;
un processo che è stato molto contrastato, perché lui non dava mai
l’approvazione per la separazione o il divorzio. Alla fine la famiglia di lui,
che lo tutelava, ha ceduto e, quindi, Emma ha ottenuto l’affido della figlia.
Io ho conosciuto questa signora
nel 2013 e lei era riuscita ad ottenere il divorzio solo da due anni,
nonostante la cosa andasse avanti dal 1997. È la pazzia della nostra legge, che
ti àncora a qualcuno che ti ha comunque fatto del male. Io dico: va bene la
sacralità del matrimonio, ma quando accadono queste cose… è qualcosa di
indecente.
3. Hai detto che Emma ti ha dato un diario e la mia domanda è questa: alla
fine di quasi tutti i capitoletti c’è una frase in corsivo, che a volte è un
po’ quello che hai imparato e a volte è solo un pensiero. Le hai prese dal suo
diario o sono qualcosa di tuo?
Sara: È il mio marchio di fabbrica. Essendoci
una narrazione in prima persona, a un certo punto ho bisogno di interrompere questa
sorta di viaggio e tornare a essere un’autrice, a essere me stessa; allora esco
un po’ dalla storia e dico la mia, per prendere le distanze dal personaggio.
4. In Splendi più che puoi ci
sono tanti salti temporali. È una scelta tua stilistica quella di non raccontare
tutto quello che è successo, è una forma di protezione nei confronti di questa
donna o era emotivamente difficile dover scrivere tutto?
Sara: Non ho fatto molti sconti: gli
episodi peggiori li ho raccontati, cercando di far vedere che comunque possono
essere non solo dette, ma anche lette. Certo, alcune cose le ho saltate perché si
ripetevano, dato che lui era paranoico. Dal punto di vista narrativo ho voluto
raccontare soprattutto la rinascita; l’obiettivo era quello di pensare in
positivo, perché altrimenti la storia diventerebbe ciò che ascoltiamo tutte le
sere al telegiornale.
5. Leggendolo, ho pensato fosse un romanzo più per uomini che per donne.
Tu cosa ne pensi?
Sara: Spero sia un libro per uomini! Raccontare
questa storia alle donne non ha alcun senso, perché non ce n’è una al mondo che
sia libera dal concetto di violenza: non possiamo vestirci come vogliamo, non
possiamo uscire all’ora che vogliamo, andare in vacanza da sole, ci sono dei
pregiudizi sulla carriera che dovrebbe avere una donna rispetto all’uomo.
6. In un passo, dici che l’amore non dura per sempre. Quindi a questo
punto cosa diventa? Una sorta di abitudine, uno stare insieme perché ce lo
concede il tempo?
Sara: Sicuramente è difficile che l’amore
rimanga tale in tanti anni e io lo vedo come una sorta di evoluzione. Poi è possibile
che due persone non smettano mai di amarsi, ma non credo che questo sia per
forza necessario per essere felici. Non condanno gli amori sbagliati che durano
un certo lasso di tempo: erano storie giuste che non sono durate per sempre.
Io sono cresciuta in una famiglia
tradizionalissima, all’apparenza “alla Mulino Bianco” e quando sono cresciuta
ero assolutamente convinta che avrei fatto esattamente le stesse scelte dei miei
genitori e che il mio matrimonio sarebbe stato come il loro. Quando mi sono
innamorata per la prima volta a venticinque/trent’anni, dopo un certo periodo
il mio ragazzo mi ha lasciata e io sono crollata in uno stato catatonico di
fallimento. Avevo alle spalle il modello dei miei e non avevo alcuno strumento
per tirarmi fuori da quella situazione. Ho imparato da sola a uscirne e ora
vivo in un modello di famiglia che non ha niente a che fare con quello dei
miei: ho un compagno, con cui ho un bambino e che ha una figlia avuta da un
precedente matrimonio. Questa è la mia famiglia e adesso io sono davvero
felice.
7. Nel libro si fa riferimento alla frase della madre di Marco: “Ho paura
per te”. Lei, quindi, sapeva qualcosa?
Sara: Beh, essendo figlio suo, lei
aveva capito che prima o poi qualcosa in lui si sarebbe smosso, anche perché
proveniva da una famiglia patriarcale con un padre violento. Questo ragazzo tra
i figli probabilmente è stato quello che ha subito di più le violenze del padre
e sua madre, quando si è trovata davanti questa ragazzina con tutta la sua solarità
e questa voglia di stupire, ha compreso che probabilmente Emma aveva
soddisfatto quella voglia di trasgressione che aveva lui: sposarsi e mettere a
disagio la sua famiglia. Era ovvio che fosse qualcosa di provocatorio e
purtroppo ha trovato qualcuno che dall’altra parte ha soddisfatto questa
provocazione. Questa, però, è una colpa fino a un certo punto, perché non è
detto che se sposi qualcuno dopo poco tempo che lo frequenti, tuo marito ti faccia
pagare un prezzo così caro.
8. Quello che mi ha colpito è stata anche la compattezza della famiglia di
lui nel non riconoscere che il figlio/fratello fosse malato.
Sara: La famiglia di Marco era
fermamente cattolica e in essa si respirava una sorta di perbenismo. Se fosse
venuto fuori che Marco era malato e violento, sarebbe stato qualcosa di increscioso
e, quindi, l’opzione migliore per loro era quella di tacere. Inoltre, dato che
non c’era nemmeno una legge sulla violenza domestica, era ovvio che nel momento
in cui sposavi qualcuno, te lo dovessi tenere.
9. Marco è sempre ossessionato da Emma: quando lei riesce a scappare, lui
cerca ancora di avere contatti con lei, di controllarla. Mi ha lasciato
spiazzata il fatto che a un certo punto lui non reagisca più, che non la cerchi
più.
Sara: Credo che sia un po’ l’evoluzione
della malattia. Adesso Marco è completamente fuori dalla vita di Emma e da
quella della figlia; vive a casa sua, accudito dalla sua famiglia, ma non esce mai.
10. Mentre, per Marco da una parte ti sei sentita di giustificare le violenze
perché era una persona malata?
Sara: Allora, probabilmente se lui non
fosse stato malato, non sarebbe stato così violento, però noi non lo possiamo
sapere con certezza: Emma dovrebbe rivivere una seconda volta per scoprirlo e
non so se ne varrebbe la pena. Quando gli hanno dato le pillole che stabilizzano
l’umore, è tornato normale e, rendendosi conto della gravità delle azioni che
aveva compiuto, ha cercato di suicidarsi. Probabilmente senza malattia poteva
non essere malvagio, però è comunque una storia di violenza.
Io non lo posso giustificare
perché la violenza è violenza; posso comprendere che di fronte a una malattia, se
le cure fossero state fatte prima, magari la situazione sarebbe stata diversa. È
anche vero che in quegli anni non si andava da uno specialista, a differenza di
adesso, perché andarci avrebbe significato essere malato.
11. La parte che mi ha colpita di più è quella in cui Emma rivede Filippo,
il carabiniere con cui sembrava avere una storia dopo Marco. Quando ho letto il
passo, però ho capito che lo aveva allontanato, come tutti gli altri uomini. La
mia domanda, quindi, è: questa signora è mai riuscita a trovare la felicità?
Sara: No, non per adesso. Speriamo che
un domani riesca a trovarla, anche se quello che ha vissuto se lo porterà
dietro per sempre.
12. La figlia di Emma adesso come si rapporta con il mondo?
Sara: Adesso ha un compagno e vede suo
padre come un malato, non come un cattivo. Quest’idea, sviluppatasi grazie all’aiuto
di una psicologa, forse ha salvato il suo rapporto con gli uomini. Per quanto
riguarda i contatti con la famiglia di suo padre, parla solo con uno zio,
quello che le ha “aiutate” un po’ di più.
13. Splendi più che puoi ha un ritmo da thriller, è davvero incalzante e la tecnica del capitolo breve è perfetta.
Sara: Vi svelo un segreto: è il mio sogno nel cassetto scrivere un thriller.
14. Com’è stato per te arrivare alla fine del libro?
Sara: Ero stremata, non vedevo l’ora di finirlo. L’ho scritto nei ritagli di tempo, quando tornavo a casa dal mio lavoro e la stesura è stata velocissima perché sentivo l’urgenza di raccontare la vicenda di Emma.
Quello che questa storia mi ha lasciato è la speranza.
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