lunedì 11 aprile 2016

Evento: Intervista a Sara Rattaro per Garzanti Editore

Buon pomeriggio, lettori!
Se seguite la nostra pagina Instagram probabilmente lo saprete già: il 31 Marzo ci è stata offerta la possibilità, dalla casa editrice Garzanti che ringraziamo nuovamente, di incontrare Sara Rattaro, autrice di Splendi più che puoi
Prima di incontrare Sara avevamo già avuto l'occasione di leggere il suo libro in anteprima (clicca QUI per la recensione) e, perciò, siamo arrivate in casa editrice già catturate dalla sua storia. 
L’accoglienza, sia da parte dello staff che da parte della stessa autrice, è stata molto calorosa. Sara ha un sorriso davvero molto coinvolgente ed è una donna molto alla mano. L'evento si è svolto a una tavola rotonda, il che ci ha permesso di entrare in un clima confidenziale sia con l'autrice che con le altre blogger.
Prima di riportarvi le domande e le risposte circa il libro, vorremmo riportare le parole di Elisabetta, l'editor di Sara e una breve introduzione della stessa autrice. 

“Questo, rispetto ai suoi romanzi precedenti, è il libro in cui Sara sa veramente leggere nel cuore di una donna. La donna in questione è una provata, ferita, deve fare tantissima fatica per tornare a splendere, ma Sara parla divinamente della sua rinascita: in questo libro riesce a farci capire cosa succede veramente nella testa della protagonista”.
Elisabetta - editor di Sara Rattaro 

Sara: Splendi più che puoi è una storia che secondo me è molto importante e ha una genesi molto particolare. Ero in giro a presentare Non volare via, era giugno del 2013 e alla fine di una delle presentazioni una signora mi si è avvicinata e mi ha detto: “Io ho una storia da raccontare e mi piacerebbe che fosse lei a raccontarla”. Ero un po’ titubante, perché mi era capitato spesso che alcune persone mi scrivessero anche vi e-mail chiedendomi di raccontare la loro storia, e le ho chiesto: “Cosa c’è in questa storia? E lei mi ha risposto: “Io sono stata sequestrata da mio marito per sei anni”
Io sono tornata a casa e ho pensato che davvero questa storia dovesse essere raccontata, perché rappresentava qualcosa di forte. Ero piena di dubbi: affrontare la violenza per un’autrice donna è doveroso, perché prima o poi ci scontriamo con essa, ma scontrarsi significa anche non raccontare nulla, perché magari non ci si sente all’altezza o perché si crede non sia il periodo giusto per farlo. Se si fa, si deve fare con la maggiore onestà possibile; bisogna essere consapevoli di affrontare un argomento che tocca molte persone.
Io ho fatto un po’ i conti con questi sentimenti e mi sono chiesta: è il momento giusto, mi sento pronta sia come donna che come autrice di affrontare un argomento così forte? Poi, però, è stato spazzato tutto via dalla storia. Mi ricordo che avevo sentito autori che dicevano che a un certo punto della carriera arriva la storia che è più forte di te. Io credo sia questa la storia più forte di me. In qualche modo gli altri miei romanzi, per come li avete letti, li potevo scrivere solo io. Questa storia, invece, è una storia che mi ha governata e sono quasi convinta che un altro autore di fronte a essa avrebbe fatto lo stesso lavoro, la stessa fatica e si sarebbe scontrato con le stesse difficoltà contro cui mi sono scontrata io.
Quando ho richiamato quella signora e le ho chiesto “Perché ha scelto me tra tutti gli autori?” lei mi ha risposto “Mi piace il modo in cui lei raccontata le storie”; così ci siamo organizzate e quella signora mi ha ospitato una settimana a casa sua. Abbiamo passato il tempo insieme cucinando, andando a fare dei giri, intanto lei mi ha raccontato i pezzi della sua storia e mi ha dato il suo diario.
Tornata a casa, ho lasciato il diario sul mio comodino per un po’ di tempo, perché avevo bisogno che la storia esplodesse dentro di me; quando è successo, però, la stesura è durata circa un mese: è stata una stesura velocissima, è stata una stesura di rabbia, di sentimenti umani forti, che aveva l’obiettivo fisso di riuscire a raccontare una storia senza pregiudizi.
Quando si parla di violenza sulle donne o di femminicidio, si parla sempre senza la vittima: si dà attenzione al carnefice, ma la vittima cade nell’oblio. Qui, invece, la vittima stessa è diventata la protagonista e quello che mi piace pensare di questa storia è che Emma adesso ha la sua vita davanti: che siano cinque, dieci, venti, cento anni, da adesso in poi la sua vita è nelle sue mani ed è bellissimo il fatto che lei sia riuscita a uscire da una situazione così difficile.

INTERVISTA


1. Per quanto riguarda il titolo: come mai hai scelto un termine come splendere e non uno come rinascere?
SaraSplendi più che puoi è una frase che avevo in testa da molto e ho sempre pensato che sarebbe stato un titolo bellissimo per un romanzo. È una frase che è stata erroneamente attribuita a Pasolini: lui aveva detto “Ti insegneranno a non splendere, tu invece splendi”, ma nel riportarla hanno aggiunto l’eccesso “tu splendi più che puoi”. Credo che lui non l’abbia mai detta in questo modo. Mi era rimasta impressa, l’ho proposta a Elisabetta ed era perfetta per questo romanzo. Mi piaceva l’idea dello splendore, perché è quella cosa che abbiamo tutte noi. Dà l’idea dell’inizio di una nuova vita in questa donna, ormai padrona di se stessa. È qualcosa che dobbiamo augurare a noi stesse e ai nostri figli.


2. Per la parte legale, come ti sei comportata?
SaraEmma era preparatissima, dopo tutto quello che è successo. Aveva questo diario con tutte le date del processo; un processo che è stato molto contrastato, perché lui non dava mai l’approvazione per la separazione o il divorzio. Alla fine la famiglia di lui, che lo tutelava, ha ceduto e, quindi, Emma ha ottenuto l’affido della figlia.
Io ho conosciuto questa signora nel 2013 e lei era riuscita ad ottenere il divorzio solo da due anni, nonostante la cosa andasse avanti dal 1997. È la pazzia della nostra legge, che ti àncora a qualcuno che ti ha comunque fatto del male. Io dico: va bene la sacralità del matrimonio, ma quando accadono queste cose… è qualcosa di indecente.


3. Hai detto che Emma ti ha dato un diario e la mia domanda è questa: alla fine di quasi tutti i capitoletti c’è una frase in corsivo, che a volte è un po’ quello che hai imparato e a volte è solo un pensiero. Le hai prese dal suo diario o sono qualcosa di tuo?
SaraÈ il mio marchio di fabbrica. Essendoci una narrazione in prima persona, a un certo punto ho bisogno di interrompere questa sorta di viaggio e tornare a essere un’autrice, a essere me stessa; allora esco un po’ dalla storia e dico la mia, per prendere le distanze dal personaggio.


4. In Splendi più che puoi ci sono tanti salti temporali. È una scelta tua stilistica quella di non raccontare tutto quello che è successo, è una forma di protezione nei confronti di questa donna o era emotivamente difficile dover scrivere tutto?
SaraNon ho fatto molti sconti: gli episodi peggiori li ho raccontati, cercando di far vedere che comunque possono essere non solo dette, ma anche lette. Certo, alcune cose le ho saltate perché si ripetevano, dato che lui era paranoico. Dal punto di vista narrativo ho voluto raccontare soprattutto la rinascita; l’obiettivo era quello di pensare in positivo, perché altrimenti la storia diventerebbe ciò che ascoltiamo tutte le sere al telegiornale.


5. Leggendolo, ho pensato fosse un romanzo più per uomini che per donne. Tu cosa ne pensi?
SaraSpero sia un libro per uomini! Raccontare questa storia alle donne non ha alcun senso, perché non ce n’è una al mondo che sia libera dal concetto di violenza: non possiamo vestirci come vogliamo, non possiamo uscire all’ora che vogliamo, andare in vacanza da sole, ci sono dei pregiudizi sulla carriera che dovrebbe avere una donna rispetto all’uomo.


6. In un passo, dici che l’amore non dura per sempre. Quindi a questo punto cosa diventa? Una sorta di abitudine, uno stare insieme perché ce lo concede il tempo?
SaraSicuramente è difficile che l’amore rimanga tale in tanti anni e io lo vedo come una sorta di evoluzione. Poi è possibile che due persone non smettano mai di amarsi, ma non credo che questo sia per forza necessario per essere felici. Non condanno gli amori sbagliati che durano un certo lasso di tempo: erano storie giuste che non sono durate per sempre.
Io sono cresciuta in una famiglia tradizionalissima, all’apparenza “alla Mulino Bianco” e quando sono cresciuta ero assolutamente convinta che avrei fatto esattamente le stesse scelte dei miei genitori e che il mio matrimonio sarebbe stato come il loro. Quando mi sono innamorata per la prima volta a venticinque/trent’anni, dopo un certo periodo il mio ragazzo mi ha lasciata e io sono crollata in uno stato catatonico di fallimento. Avevo alle spalle il modello dei miei e non avevo alcuno strumento per tirarmi fuori da quella situazione. Ho imparato da sola a uscirne e ora vivo in un modello di famiglia che non ha niente a che fare con quello dei miei: ho un compagno, con cui ho un bambino e che ha una figlia avuta da un precedente matrimonio. Questa è la mia famiglia e adesso io sono davvero felice.


7. Nel libro si fa riferimento alla frase della madre di Marco: “Ho paura per te”. Lei, quindi, sapeva qualcosa?
SaraBeh, essendo figlio suo, lei aveva capito che prima o poi qualcosa in lui si sarebbe smosso, anche perché proveniva da una famiglia patriarcale con un padre violento. Questo ragazzo tra i figli probabilmente è stato quello che ha subito di più le violenze del padre e sua madre, quando si è trovata davanti questa ragazzina con tutta la sua solarità e questa voglia di stupire, ha compreso che probabilmente Emma aveva soddisfatto quella voglia di trasgressione che aveva lui: sposarsi e mettere a disagio la sua famiglia. Era ovvio che fosse qualcosa di provocatorio e purtroppo ha trovato qualcuno che dall’altra parte ha soddisfatto questa provocazione. Questa, però, è una colpa fino a un certo punto, perché non è detto che se sposi qualcuno dopo poco tempo che lo frequenti, tuo marito ti faccia pagare un prezzo così caro.


8. Quello che mi ha colpito è stata anche la compattezza della famiglia di lui nel non riconoscere che il figlio/fratello fosse malato.
SaraLa famiglia di Marco era fermamente cattolica e in essa si respirava una sorta di perbenismo. Se fosse venuto fuori che Marco era malato e violento, sarebbe stato qualcosa di increscioso e, quindi, l’opzione migliore per loro era quella di tacere. Inoltre, dato che non c’era nemmeno una legge sulla violenza domestica, era ovvio che nel momento in cui sposavi qualcuno, te lo dovessi tenere.


9. Marco è sempre ossessionato da Emma: quando lei riesce a scappare, lui cerca ancora di avere contatti con lei, di controllarla. Mi ha lasciato spiazzata il fatto che a un certo punto lui non reagisca più, che non la cerchi più.
SaraCredo che sia un po’ l’evoluzione della malattia. Adesso Marco è completamente fuori dalla vita di Emma e da quella della figlia; vive a casa sua, accudito dalla sua famiglia, ma non esce mai.


10. Mentre, per Marco da una parte ti sei sentita di giustificare le violenze perché era una persona malata?
SaraAllora, probabilmente se lui non fosse stato malato, non sarebbe stato così violento, però noi non lo possiamo sapere con certezza: Emma dovrebbe rivivere una seconda volta per scoprirlo e non so se ne varrebbe la pena. Quando gli hanno dato le pillole che stabilizzano l’umore, è tornato normale e, rendendosi conto della gravità delle azioni che aveva compiuto, ha cercato di suicidarsi. Probabilmente senza malattia poteva non essere malvagio, però è comunque una storia di violenza.
Io non lo posso giustificare perché la violenza è violenza; posso comprendere che di fronte a una malattia, se le cure fossero state fatte prima, magari la situazione sarebbe stata diversa. È anche vero che in quegli anni non si andava da uno specialista, a differenza di adesso, perché andarci avrebbe significato essere malato.


11. La parte che mi ha colpita di più è quella in cui Emma rivede Filippo, il carabiniere con cui sembrava avere una storia dopo Marco. Quando ho letto il passo, però ho capito che lo aveva allontanato, come tutti gli altri uomini. La mia domanda, quindi, è: questa signora è mai riuscita a trovare la felicità?
SaraNo, non per adesso. Speriamo che un domani riesca a trovarla, anche se quello che ha vissuto se lo porterà dietro per sempre.


12. La figlia di Emma adesso come si rapporta con il mondo?
SaraAdesso ha un compagno e vede suo padre come un malato, non come un cattivo. Quest’idea, sviluppatasi grazie all’aiuto di una psicologa, forse ha salvato il suo rapporto con gli uomini. Per quanto riguarda i contatti con la famiglia di suo padre, parla solo con uno zio, quello che le ha “aiutate” un po’ di più.


13. Splendi più che puoi ha un ritmo da thriller, è davvero incalzante e la tecnica del capitolo breve è perfetta.
SaraVi svelo un segreto: è il mio sogno nel cassetto scrivere un thriller.


14. Com’è stato per te arrivare alla fine del libro?
SaraEro stremata, non vedevo l’ora di finirlo. L’ho scritto nei ritagli di tempo, quando tornavo a casa dal mio lavoro e la stesura è stata velocissima perché sentivo l’urgenza di raccontare la vicenda di Emma.
Quello che questa storia mi ha lasciato è la speranza.

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